Pene più pesanti a chi assale l’arbitro: la scelta necessaria. Il commento di Agresti

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In una situazione di emergenza assoluta si risponde con provvedimenti straordinari per cercare di proteggere i pochi ragazzi che decidono ancora di arbitrare

Stefano Agresti

Giornalista

In attesa di migliorare la nostra cultura sportiva, o forse semplicemente la nostra cultura del rispetto verso gli altri, accogliamo con favore la decisione del Consiglio dei ministri inserita nel Decreto Sport: d’ora in poi chi aggredisce un arbitro sarà punito come se avesse avuto lo stesso comportamento nei confronti di un agente di pubblica sicurezza. È innegabile, del resto, che la situazione sia di emergenza assoluta, e all’emergenza si risponde con provvedimenti straordinari. Come questo, che è quanto meno anomalo: in quale realtà civile si può pensare di dover introdurre norme drastiche per cercare di proteggere chi arbitra una partita di pallone? Ma spesso, lo sappiamo, la civiltà non appartiene al nostro sport e soprattutto – lo dicono i numeri – al nostro calcio, la disciplina nella quale si verifica la stragrande maggioranza degli episodi di violenza ai danni dei direttori di gara. E allora ben vengano pene più aspre se le vittime sono donne e uomini, spesso di età giovane o giovanissima, che si mettono a disposizione degli altri coltivando la loro passione per lo sport e vengono aggrediti, picchiati, feriti, mandati all’ospedale per un calcio di rigore o un cartellino rosso, per una sconfitta o una retrocessione. Follie. Frequenti, frequentissime follie.

episodi frequenti di violenza

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Gli episodi di violenza nei confronti degli arbitri sono sempre più numerosi: gli oltre trecento di due stagioni fa sono pressoché raddoppiati, così come i giorni di prognosi delle vittime. Mettersi il fischietto in bocca e andare a dirigere una partita, anche se tra bambini, spesso non è una gioia, una festa, ma un esercizio di estrema pericolosità. Un rischio, sì. Un rischio che si corre per amore del calcio, senza altri fini: i pochi euro di rimborso spese che ricevono gli arbitri del settore giovanile e dei dilettanti non giustificano certo quel sacrificio. Stadioli, campi e campetti sono pieni di vigliacchi che se la prendono con ragazzi che in quel momento sono soli, chiamati a gestire situazioni che improvvisamente li catapultano nella paura. Ce ne sono tra i dirigenti e tra i giocatori, di vigliacchi, ma più spesso sono nascosti in mezzo al pubblico, di frequente sono i genitori dei giovani calciatori a diventare aggressivi. Non pensano ai genitori dell’arbitro.

crisi di vocazione

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Se oggi ci sono pochi ragazzi che decidono di arbitrare, se c’è quella che viene definita “crisi di vocazione”, se si fatica a trovare chi dirige le partite ogni fine settimana, il motivo è anche questo. Soprattutto questo. Non è facile vedere il proprio figlio uscire di casa con la borsa per andare a fare attività sportiva – l’arbitro, già – e avere timore per la sua incolumità, essere preoccupato all’idea che possa accadergli qualcosa. E allora quanti mamme e papà frenano i ragazzi, quanti impediscono loro di prendere il fischietto in mano, quanti dicono: ma chi te lo fa fare? Gli arbitri dovrebbero essere accolti con rispetto, perfino con gratitudine perché sono, assieme al pallone, i soli senza i quali una gara non si può giocare. Si può fare a meno del centravanti o del portiere, dell’allenatore e dei tifosi, ma senza pallone e arbitro la partita non c’è. Proteggere gli arbitri, adesso, è diventata una necessità. E se non ci sono agenti a sufficienza per farlo a bordo campo, è importante che ci siano norme in grado non di fermare i violenti da stadio, ma di frenarli almeno un po’. Perché già sappiamo che non saranno sufficienti per insegnare a certa gente cosa sia lo sport.



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