Assieme a Maignan, l’inglese è quello che parla e prende maggiormente per mano i compagni, in campo e nello spogliatoio
Per essere uno che – parole di Ibra di qualche giorno fa – “non era previsto”, beh: avercene, di imprevisti così. Il solito marziano che sbarcasse sulla Terra senza sapere nulla di pallone, penserebbe che Kyle Walker giochi al Milan da anni. E stenterebbe a crederci, quando qualcuno gli direbbe che ha giocato soltanto tre partite in rossonero. Nel Diavolo che – legittimamente e comprensibilmente – celebra soprattutto le gesta dei nuovi uomini offensivi, c’è un signore capace di cambiare pelle alla squadra anche dall’altra parte del campo. Un utente su X in queste ore ha scritto: “Finalmente non devo più preoccuparmi di cosa succede dietro a destra”. E’ una riflessione che accomuna in pratica l’intera tifoseria rossonera, con buona pace dell’ex capitano Calabria e del lungodegente Emerson Royal. Walker s’è preso il Milan esattamente come aveva detto, più volte, il giorno della sua presentazione: con la leadership. Ma non quella esibita e scenografica. Quella fatta di sostanza.
movimenti
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Un esempio, fra i tanti, restituito dalle telecamere: c’è un momento della partita di Empoli in cui Kyle dà indicazioni a Musah, ma non sono parole generiche. Sono quindici secondi (tanti, mentre è in corso una partita) lungo i quali l’inglese spiega al compagno proprio i movimenti che deve fare, mimandoli col corpo. Si sposta lateralmente a piccoli passi, poi allunga il braccio e gli mostra dove deve infilarsi. Yunus annuisce e si volta, Kyle lo richiama ancora e gli dà un’ultima dritta. Questo è Walker. Prima di scendere in campo a Empoli aveva detto a Dazn: “La mia leadership è importante. Ero il capitano del Manchester City. Spero che i più giovani mi vedano come un leader, provo ad essere d’esempio per tutti”. Lo ha detto così come lo aveva detto quando era stato presentato: una constatazione senza spocchia, semplicemente la volontà di mettersi al servizio della squadra sulla base dei suoi 34 anni, di una vita trascorsa in quello che è il campionato più allenante del mondo, della fascia di capitano in un club come il City e dei diciotto titoli in bacheca (tutti a Manchester).
formalità
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Su questa base viene facile pensare che tutto sommato sia agevole caricarsi sulle spalle un gruppo in debito di autostima. Eppure non è una scienza esatta, come dimostra chiaramente lo sprofondo di Origi. Caratteri e temperamento molto diversi e per Kyle – a differenza di Divock – le porte del Milan erano e resteranno spalancate. Il diritto di riscatto fissato a 5 milioni appare con tutta evidenza una formalità, perché con questo arrivo “non previsto” il club ha sistemato una casella precaria da tempo. Walker è quello con le tibie di titanio (rivedersi l’entrataccia di Cacace, dalla quale è uscito incredibilmente indenne) e con lo sguardo attento verso i compagni. E’ quello che salva un gol (tiro di Grassi con Maignan fuori portata) e che, nel momento di serrare i ranghi dopo l’espulsione di un compagno di reparto, slitta da esterno a centrale.
padrone della situazione
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Kyle è tutto questo, e lo è nella massima naturalezza. Gioca con la tranquillità di chi è abituato alle pressioni e ha l’esperienza per gestirle. Ha debuttato nel derby, facendolo nella massima serenità. Dà l’idea di essere sempre padrone della situazione. E guida i compagni come un “vocalist”. Walker, infatti, è assieme a Maignan e Fofana (e, in parte, Tomori) il giocatore che parla di più in campo e nello spogliatoio, quando si tratta di tirare il gruppo e di dare indicazioni. Una guida naturale, con i suoi riti (l’acqua versata sulla faccia e soffiata a fontana verso l’alto, come il wrestler Triple H, ha già innescato l'”olè” di San Siro) le sue preferenze (come cenare nel ristorante di Lautaro). Ma, soprattutto, con la sua solidità.
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